..SULLA TOSSICOMANIA

14.05.2019 16:11

L'uso di sostanze si può
inizialmente declinare in tre tipi di comportamento:

-           USO SALUTUARIO: la
sostanza viene utilizzata in sporadiche occasioni, quali ad esempio, momenti
ricreativi, oppure momenti di forte stress in cui essa ha un funzione
autoterapeutica e soppressiva del dolore e della coscienza. In tale veste,
l'uso di sostanze, non rientra ancora nei comportamenti patologici, seppure
possa potenzialmente diventarlo.

Nell'età adolescenziale, nella
maggior parte dei casi l'uso di sostanze psicoattive è semplicemente il
derivato di bisogni peculiari, quali sperimentare, provare nuove sensazioni,
evadere dalla realtà e trasgredire alle norme convenzionali o genitoriali, e
con essi si esaurisce.

-           ABUSO: riguarda un
uso smodato, inconsapevole ed eccessivo di una sostanza in un determinato
momento circoscritto e può causare fenomeni di intossicazione acuta anche
grave.

-           DIPENDENZA: con
essa si definisce uno: "Stato psichico ed alcune volte anche fisico che risulti
dall'interazione tra un organismo vivente ed un farmaco che si caratterizza con
delle modificazioni del comportamento e con altre reazioni le quali contemplano
sempre una pulsione a prendere la sostanza in modo continuo o periodico al fine
di ritrovare i suoi effetti psichici ed alcune volte per evitare il malessere
della privazione. Questo stato può accompagnare o no una tolleranza. Lo stesso
individuo può essere dipendente da più sostanze." (O.M.S 1963). Prima ancora e
tuttora negli USA, si utilizza la definizione di addiction che indica un
comportamento compulsivo e dipendente.

            In
Italia il mercato delle sostanze stupefacenti si è evoluto rapidamente e ha
subito numerose metamorfosi, nonostante sia un fenomeno piuttosto recente,
infatti, è solo negli anni '70 che la droga fa la sua comparsa, attirando su di
sé l'attenzione pubblica e numerose risposte repressive.

E' questo il periodo in cui nasce
il mito del "tossico", senza fissa
dimora, che vive per strada, in pessime condizioni igieniche, la cui vita ruota
completamente intorno alla "roba" per la quale compie ogni nefandezza, dal
furto ai danni di familiari, allo scippo, allo spaccio e alla prostituzione, e
che muore per overdose spesso solo, in luoghi abbandonati. E' l'emarginato, che
la legge bolla come delinquente e persegue come tale. Intorno agli anni '80 si
osserva una svolta molto importante, infatti, il tossicodipendente viene
finalmente considerato come un malato che necessita quindi di cure e
trattamenti specifici.

Nascono i Ser.T.: i servizi rientranti nel piano delle attività di sanità
pubblica che si occupano di diagnosi, cura e trattamento di tossicodipendenti,
e alcooldipendenti, operando per i primi soprattutto  l'invio nelle "comunità" che nascono a frotte
nel territorio italiano. Quest'ultime sono centri residenziali, dove in primis
si pone l'accettazione dell'individuo, e la sua riabilitazione attraverso il
lavoro che, si crede gli potrà restituire dignità e amore di sé, in modo da
sostituire, finalmente, il rapporto con la sostanza.

Inizialmente tali comunità sono
per lo più a conduzione familiare o cattolica, e non hanno ancora un
impostazione psicoterapeutica, poichè solo successivamente, il contributo della
psicologia sarà messo a disposizione nei trattamenti per la tossicodipendenza.

Da allora se ne è fatta di strada
e gli interventi di cura e prevenzione della tossicodipendenza sono accresciuti
e migliorati per poter rispondere alle nuove e sempre più pressanti esigenze
dei consumatori, dacchè, come dicevamo, di cambiamenti ce ne sono stati molti.

            Forse
per la paura dell'Aids, che da metà degli anni '80 ha mietuto molte vittime fra
gli eroinomani che si scambiavano le siringhe e con esse la malattia, o forse
favorite dall'avvento di una società consumistica, il cui leitmotiv è essere
alla moda, attivi e sempre "sull'onda", o forse per entrambe le ragioni, sono
apparse sul mercato nuove sostanze stupefacenti: le droghe sintetiche (MDMA, derivati anfetaminici, ketamina, popper,
ecc....)

Queste, hanno rapidamente fatto
presa, prima negli USA, poi in Europa e ora anche in Italia, per via del loro
basso prezzo e dell'idea di pulizia e ridotta pericolosità che la loro forma
gli conferisce, non a caso, sono chiamate in gergo "caramelle".

Un ulteriore spiegazione a
siffatta larga diffusione, è rintracciabile nel fatto che vengono utilizzate in
luoghi di aggregazione giovanile, come la discoteca, il pub, o raves parties. Qui, oltre ad essere
definite come "sostanze di tendenza", favoriscono l'integrazione con il gruppo
di pari, e i rapporti interpersonali, rimanendo compatibili con uno stile di
vita "normale", poiché, chi le assume lo fa unicamente, durante il week end.

Gli effetti di queste sostanze,
dai pochi studi a lungo termine effettuati, sembrano essere disastrosi, dato
che i meccanismi cerebrali con le quali interagiscono vengono soppressi o
alterati dando scompensi cognitivi o psichici.

In fase acuta,  possono indurre disturbi fisici come
l'ipertermia che causa occlusione dei vasi sanguigni con conseguente ictus
cerebrale o infarto del miocardio.

Le droghe sintetiche, comportano
inoltre un aumento della libido e quindi più probabilità di incorrere in
rapporti sessuali non protetti dove contrarre malattie veneree come l'Aids.

Tuttavia nel presente di molti
giovani, lo spettro di tale  pericolosità
non aleggia affatto e anzi il consumo di queste droghe, e di altri simili
composti chimici di varia natura e combinazione è in continuo aumento.

Un progressivo incremento si è
osservato anche nei consumi di cocaina che in passato era considerata un
sostanza d'elitè, poiché per via del suo alto costo, era accessibile solo a
gruppi ristretti. Attualmente, per contrastare la caduta delle vendite, i
mercanti di narcotici ne hanno diminuito il prezzo, rendendola disponibile ad
un più ampio raggio di consumatori, fra cui sta diventando molto di moda.

ALCUNE
TEORIE EZIOPATOLOGICHE  DELLA
TOSSICODIPENDENZA

FREUD sostiene, che l'uso di sostanze sia fondamentalmente
attribuibile ad una fissazione e regressione alla fase orale, che impedisce al
soggetto di abbandonare la gratificazione derivante dalla stimolazione della
zona labbiale, in quanto, è irrimediabilmente incapace di valicare con
efficacia tale stadio, per raggiungere quelli successivi.

Lo sviluppo della teoria
freudiana e l'introduzione della prospettiva delle relazioni oggettuali, ha
permesso la messa in campo di concetti più articolati ed interessanti, ad
esempio OLIVENSTEIN (1981), sostiene
che la tossicodipendenza, sia il frutto di un processo mal riuscito di
separazione-individuazione dalla madre.

Secondo questa teoria il futuro
assuntore di sostanze non ha superato con successo, la cosiddetta "fase dello
specchio".  Questa, si colloca nei primi
due anni di vita, e trova il suo apice nel momento in cui il bambino è in
procinto di uscire dall'unione fusionale con la madre per costruire un proprio
Sé autonomo, sulla base dei rimandi che riceve dalla stessa.

Tuttavia, se il rispecchiamento
non è adeguato e il ritorno materno è confuso o negato, l'infante non porterà a
termine il suo processo di individuazione, rimanendo incastrato in un punto di
non ritorno, fra lo specchio riuscito e lo specchio fallito.

Ciò causerà, in età adulta, la
presenza di una non chiara immagine di sé, di un Io debole con un bagaglio di
difese inadatte, ove la sostanza non sarà altro che un mezzo per ricomporre la
frattura originaria e ritrovare quel Sé ancora embrione e mai formato.

Olivestein inoltre sottolinea
che, solitamente il tossicodipendente, cresce in una famiglia in cui il padre è
emotivamente e concretamente assente, tanto da non permettere una buona
interiorizzazione del Super Io, mentre la madre, in linea con quanto sopra
sostenuto, è oppressiva e incapace di favorire il processo di separazione.

BERGERET (1983), avvalla l'idea che l'uso di sostanze non sia altro
che un modo per difendersi dall'angoscia originata dalle carenze del proprio
Io, a loro volta causate da arcaiche e ripetute delusioni nella relazione
primaria con la madre.

Tutto ciò determina, un
invalidante incapacità di utilizzare il registro
simbolico
e il soggetto rimane ancorato, per la soddisfazione dei propri
bisogni, a modalità primitive, infantili e soprattutto di passaggio all'atto.

Secondo l'autore, esistono
fondamentalmente tre categorie di tossicodipendenze, distinguibili a partire
dal tipo di struttura di personalità in cui si manifestano:

-personalità nevrotiche: sono le meno gravi, poiché l'Io è in uno
stato di maggior evoluzione, però sono anche le meno frequenti. Le
problematiche sono per lo più concentrate su conflitti edipici, che si
manifestano a livello comportamentale con atteggiamenti aggressivi e
masochisti.

-personalità psicotiche: dove l'uso della sostanza rappresenta una
difesa utilizzata per evitare la caduta in stati psicotici puri o per
nasconderli, se già apparsi.

-personalità a struttura depressiva: dove i soggetti non sono
riusciti ad elaborare i conflitti dell'adolescenza e a superarli, integrando in
un unità complessa i vari aspetti pulsionali, tanto da rimanere, bloccati in
una sorta di pseudolatenza interminabile. Tali individui, si presentano spesso
come persone immature, indecise, dipendenti e facilmente influenzabili.

Suddetta tipologia di
tossicodipendenza è la più frequente, e denota un danno precedente
nell'integrazione e nell'evoluzione del soggetto, durante le passate fasi di
vita.

Bergeret conclude che non esiste
un tipo di personalità specifica correlabile alla tossicomania, ma quest'ultima
non è altro che una risposta difensiva che si attiva in momenti di forte crisi,
qualora non siano presenti meccanismi di difesa più adattativi.

KOHUT, (1978), sostiene che la tossicomania sia causata da una
relazione primaria frustrante con la madre, qualora questa non sia stata in
grado di rispondere ai bisogni del Sé grandioso, essenziali affinché il bambino
sviluppi integrazione e un senso di valore di Sé.

Il futuro tossicodipendente, può
scegliere, su un piano fantastico, di annullare la delusione, mantenere un
immagine idealizzata della madre e un autostima ipertrofica. In tal modo però,
diviene intollerante alle frustrazioni e ambivalente di fronte alla dipendenza
da un genitore vissuto come onnipotente ma concretamente incapace di risolvere
le sue necessità.

L'incontro con la droga,
rappresenta allora, l'unico mezzo per allontanare i propri sentimenti di
inadeguatezza, originati dal confronto con un immagine di sé idealizzata e
possedere un oggetto esterno, illusoriamente controllabile, utile a soddisfare
i propri bisogni.

CANCRINI (1982), tenta di integrare le idee freudiane con i
contributi più recenti della psicoanalisi. Egli sostiene che la
tossicodipendenza è una risposta autoterapeutica ad una sofferenza
intollerabile, in cui si avvicendano elementi e motivazioni di carattere
costituzionale, traumatico, e fattori esterni come ad esempio la disponibilità
della sostanza.

Motivo per cui, la
tossicodipendenza si colloca in un panorama nosologico di situazioni abbastanza
disomogenee, che egli classifica fondamentalmente in quattro gruppi, ognuno, e
questo è l'elemento innovativo introdotto da Cancrini, con una propria ipotesi
di trattamento e di prognosi:

-tossicomanie traumatiche o di TIPO A: l'uso della sostanza
risponde reattivamente ad eventi traumatici, quali lutti, separazioni o
delusioni sentimentali.

Il sintomo si manifesta più
frequentemente nell'adolescenza, una fase già aggravata dallo svincolo dalla
famiglia, in cui possono facilmente venire a mancare le risorse che sottendono
a difese più appropriate, soprattutto se manca un reale e profondo sostegno da
parte di figure importanti della propria vita.

La sostanza ha una funzione
totalmente regolatrice, difensiva, e compensatrice, nel lenire il dolore.

La prognosi è la migliore, ed è
indicata una terapia di tipo individuale che aiuti il soggetto ad elaborare il
trauma e costituire un corpus di difese più adattive per rispondere alle
situazioni di stress e crisi.

-tossicomanie nevrotiche o di TIPO B: sono quelle in cui è presente
un disturbo di tipo nevrotico preesistente, che la tossicomania tenta di
celare. Anche questo secondo caso può essere associato ai problemi di
individuazione tipici della crisi adolescenziale tuttavia, il soggetto
presenta, in concomitanza alla tossicodipendenza  tratti psichici disfunzionali non imputabili
ad essa. Fra questi possiamo annoverare: sbalzi di umore, difficoltà ad
elaborare un progetto di vita concreto, difficoltà nei rapporti interpersonali
ecc.., la cui origine appare riconducibile a conflitti inconsci e non elaborati
nell'ambito familiare.

Il disturbo nevrotico ha infatti
spesso origine in quest'ultimo, per cui è qui che bisogna cercarne le radici
profonde.

Si osserva ad esempio, in molti
casi, che la tossicomania di un membro del nucleo familiare assume la valenza
di diversivo, atto ad eludere conflittualità latente ed eccessivamente
dolorosa; o ancora può essere il frutto delle proiezioni di sentimenti negativi
e distruttivi sul membro più vulnerabile.

In questi ultimi casi la prognosi
diventa infausta poiché, solitamente la famiglia tende a coalizzarsi contro la
terapia per perseverare l'equilibrio faticosamente raggiunto.

Cancrini suggerisce come
intervento terapeutico un trattamento di tipo relazionale familiare che
contribuisca a ridefinire i ruoli, rendere consce e chiare le comunicazioni,
anche quelle più criptiche e paradossali, e infine ad elaborare i conflitti.

-tossicomanie di transizione o di TIPO C: sono quelle in cui il
sintomo tossicomanico va a coprire veri e propri stati nevrotici o psicotici,
frutto di uno sviluppo caratterizzato da discontinuità e piccoli, grandi
traumi. Possono essere presenti disturbi di personalità come quello
borderline,  depressione o nuclei
familiari profondamente conflittuali; in ogni caso la sostanza allevia il senso
di dolore e frustrazione dando libertà dalle angosce persecutorie e depressive.

E' opinabile, anche in questo
caso, un trattamento che coinvolga l'intera famiglia per una ridefinizione
interpersonale della tossicomania.

-tossicomanie sociopatiche o di TIPO D:  si associano spesso ad un tipo di personalità
antisociale o per lo meno con una lunga storia di condotte devianti, abbandoni,
disagio sociale ed emotivo.

Sono quelle più difficili da
trattare a causa delle numerose recidive, per cui si propone spesso la
necessità di applicare a questi soggetti interventi di riduzione del danno nel
tentativo almeno di non peggiorare la loro situazione, poiché sono prettamente
inclini ad una vita di autologorio fino alla morte.

CIRILLO E COLL., propongono una teoria di orientamento prettamente
sistemico-relazionale, elaborando un modello esplicativo che tiene conto del
vissuto del tossicodipendente nel suo nucleo familiare, in rapporto al tipo di
relazioni che intercorrono con i vari membri, anche quelli delle generazioni
passate, che direttamente o meno influiscono sul suo benessere psicologico.

Secondo gli autori l'aspirante
tossicodipendente cresce in un ambiente in cui il padre è assente a livello
emotivo, educativo e a volte anche concreto; la madre è lasciata priva di
sostegno affettivo e contenitivo durante l'accudimento del figlio, mentre
permangono ancora in sospeso conflitti inconsci con le famiglie di origine, che
ostacolano la loro funzione parentale.

Dal canto loro, i nonni entrano a
vario titolo nella famiglia del tossicodipendente, impedendo così il taglio
simbolico del cordone ombelicale e quindi il processo di individuazione del
nucleo familiare formatosi ex novo.

Conseguentemente viene perpetuata
una carenza affettiva, dovuta in buona parte alla trasmissione generazionale di
deficit nell'accudimento dei figli, tale che, è possibile distinguere tre forme
di atteggiamenti parentali disfunzionali, corrispondenti ad altrettante
tipologie di tossicodipendenze:

1- abbandono dissimulato: la madre è su un piano manifesto
affettuosa e premurosa, tuttavia non accudisce il figlio spesso neppure
concretamente, poiché delega le proprie funzioni a figure vicarianti. Quando è
invece lei ad occuparsi del bambino, lo fa in modo freddo e distaccato.

Nell'adolescenza, il futuro
tossicodipendente, diviene consapevole delle carenze affettive subite, con
conseguente deidealizzazione, della figura materna e paterna, incapaci entrambi
di rispondere empaticamente ai suoi nuovi bisogni. A questa devastante scoperta
può facilmente rispondere, con comportamenti oppositivi, di ribellione o con
uso di sostanze. Queste ultime hanno la funzione precisa di compensare il
deficit di autostima, la delusione e la frustrazione di essere stato, per cosi
dire "preso in giro" da una coppia genitoriale che non ha mai saputo come
amarlo.

2- abbandono misconosciuto: in questo secondo caso, il rapporto
madre-bambino è  rivestito di dolorosi
sentimenti contraddittori, relativi anche alla relazione con la figura paterna.

A livello emotivo, l'accudimento
del figlio è profondamente carente, anche se tale carenza viene, appunto
misconosciuta e negata attraverso razionalizzazioni, che servono a non far
trapelare i  sentimenti di amore/odio e
di rabbia/paura che saturano il rapporto con il figlio. Nell'adolescenza
l'individuo, avverte nella sua completezza il carattere fasullo di questo
accudimento mancato, e comprende di essere invischiato in una serie di
incomprensioni e conflitti fra i propri genitori.

L'uso della sostanza in questo
caso, ha la funzione di restituire al soggetto la parvenza di un Sé strutturato
e integrato, contrastando quello preesistente frammentario e disperso a causa
dell'inconsistenza dei rispecchiamenti con la madre.

3-abbandono agito: in questa ultima tipologia rientrano tutte
quelle situazioni in cui, l'incontro con la sostanza è solo il capolinea di un
percorso travagliato e doloroso, tappezzato di disagio sociale, disgregazione
familiare, povertà, abbandoni ecc...

Come per le tossicomanie di TIPO
C,  ipotizzate da Cancrini, anche qui il
soggetto è potenzialmente sociopatico, e se non lo è, è destinato a divenirlo,
poiché possiede solo tale modello al quale conformarsi.

Questo tipo di accudimento è
caratterizzato, nella maggior parte dei casi, da un habitat dove  regnano desolazione e degrado, dove alcool e
sostanze, sono divenute parte integrante della vita, dove gli individui non
hanno altre opportunità per riuscire nella realizzazione di Sé e nel
soddisfacimento dei propri bisogni affettivi.

 I FATTORI DI RISCHIO DELLA  TOSSICODIPENDENZA

Sono stati individuati, da
diversi studi, numerosi fattori di rischio della condotta tossicomanica,
vediamo insieme i più importanti:

a-fattori endogeni o di personalità: rappresentano tratti che,
fanno parte della struttura profonda della personalità dell'individuo,
predisponendolo a tale tipo di condotta e fra questi possiamo annoverare:

-timidezza e aggressività, dove
il primo riguarda la tendenza ad isolarsi e a non avere amici o persone con cui
condividere i propri sentimenti positivi e negativi, mentre il secondo
rappresenta una modalità appresa, piuttosto disfunzionale, di affrontare
difficoltà e momenti di crisi. A questo si aggiunge anche un terzo tratto: la
non convenzionalità, caratterizzata da ribellione, anticonformismo, e ridotto
interesse a perseguire mete socialmente condivise

-il sesso maschile, poiché
diversi studi hanno messo in evidenza che l'uso di sostanze è più diffuso nel
genere maschile

-l'età, sono sicuramente di più i
giovani e gli adolescenti, che subiscono il fascino effimero del piacere
artificiale della droga

-l'intelligenza, se non brillante
ed associata ad un basso rendimento scolastico, inficia l'autostima, e il senso
di progettualità per il futuro, facendo credere al soggetto di aver opportunità
limitate di realizzazione di sé. Ciò lo porterebbe a scegliere le sostanze come
mezzo vicariante, di soddisfacimento dei propri bisogni di autostima

-psicopatologia, più frequenti
sono gli stati depressivi e nevrotici e i disturbi di personalità borderline e
antisociale che si associano all'uso di sostanze. Le nuove droghe, come ecstasy
e simili, sembrano essere in grado di slatentizzare disturbi psicotici, rimasti
sopiti fino ad allora, invece per quanto riguarda le altre sostanze, resta
assodato che il disagio mentale sia antecedente al sintomo tossicomanico

-predisposizione all'uso di
sostanze,  gli studi sulla familiarità
sostengono l'idea che questa sia di natura genetica e quindi trasmissibile di
generazione in generazione. Tuttavia su tale ipotesi restano ancora seri dubbi,
soprattutto se non inclusa in una prospettiva olistica e complessa della natura
umana.

b-fattori socio-ambientali: in questa categoria, comprendiamo,
tutti quegli elementi che fanno parte dell'ambiente in cui il soggetto cresce e
si sviluppa:

-ambiente familiare e stile
educativo: la tossicomania è più probabile in un ambiente familiare in cui gli
altri membri, soprattutto i genitori, sono o sono stati tossidipendenti. Non
intendiamo, tuttavia, sostenere che i figli o i parenti di primo grado di
tossicodipendenti, perseguiranno obbligatoriamente la  medesima strada, ma solo rilevare una certa
trasmissione, o genetica o psicologica del sintomo.

Anche uno stile educativo,
lassista e permissivo o al contrario eccessivamente autoritario, può favorire
condotte devianti come l'uso di sostanze.

-eventi stressanti: spesso sono
presenti traumi, nella vita del soggetto che, come già sottolineato, possono
esacerbare o creare ex novo un disagio psichico, al quale il soggetto non trova
risposta alcuna, se non quella che gli arriva dalla sostanza, capace di lenire
il suo dolore.

-il gruppo di pari:
nell'adolescenza diventa molto importante farsi accettare dai coetanei tanto
che, l'uso della sostanza nel gruppo può fungere da cerimoniale o rito di
iniziazione: si pensi ad esempio alla procedura di assunzione di droghe
sintetiche nei luoghi di divertimento, nei raves
o nelle feste, dove è attuata con regole e modalità precise, all'interno di un
circolo ristretto.

-vicinanza e disponibilità della
sostanza: più una sostanza è reperibile, più facile sarà il primo incontro e la
sua successiva ripetizione.

            In
questa breve e sicuramente non esaustiva analisi sul tema dell'uso di sostanze
abbiamo cercato di suggerire risposta ad alcuni inquietanti interrogativi:  perché i giovani e anche i non più giovani
assumono droghe? perché ancora oggi, questo continua a succedere nonostante i
media ci bombardino di avvertimenti e informazioni sugli effetti devastanti di
sostanze illegali e anche legali, come alcool e tabacco? quali sono i
meccanismi inconsci che innescano tali comportamenti potenzialmente
autodistruttivi, nell'individuo? perché molti giovani non riescono più a
divertirsi e trovare bella la vita, se prima non "si sballano"? perché questo
bisogno assurdo di farsi del male, che rimane, tuttavia, in molti casi l'unica
chance di stare bene e sentirsi vivi veramente?


"-Perché bevi?- domandò il piccolo principe.


-Per dimenticare- rispose l'ubriacone.


-Per dimenticare che cosa?- s'informò il piccolo principe che cominciava
già a compiangerlo.


-Per dimenticare che ho vergogna- confessò l'ubriacone abbassando la
testa..


-Vergogna di che?- insistette il piccolo principe che desiderava
soccorrerlo.


-Vergogna di bere!- e l'ubriacone si chiuse in un silenzio definitivo."

  
                                                                             

Questo brano tratto dal romanzo "Il piccolo principe" di A. de Saint-Exupéry,
ci offre una suggestiva descrizione di come, a volte l'uso di sostanze possa
iscriversi in un mortifero circolo vizioso dal quale è estremamente difficile
uscire.

Al di là delle semplicistiche
etichette nosologiche e delle speculazioni sofiste, dobbiamo ammettere che
dietro a queste condotte cosiddette devianti, si cela un profondo malessere,
che non trova nome, né altro modo di esprimersi.           

Esisteranno sempre spacciatori e
mercanti di narcotici, non possiamo eliminare il mercato delle droghe, possiamo
però, trovare il modo per munire gli individui di armi adeguate per difendersi
da questi, e queste armi possono essere solo risorse psicologiche consolidate, sostegno
emotivo ed un adeguato contenitore affettivo che li preservi dall'inevitabile
frustrazione e angoscia che alla vita si accompagna.

BIBLIOGRAFIA

- A.M. Benaglio L.
Regogliosi (a cura di) Ripensare la
prevenzione. Vecchie e nuove dipendenze: è possibile una prevenzione specifica?

Ed. Unicopli Milano, 2002

- M. Ravenna Psicologia
delle tossicodipendenze
  Società
Editrice Il Mulino Bologna, 1997

- L. Regogliosi La
prevenzione del disagio giovanile
1° ed. Carrocci Editore Roma, 1994

- S. Cirillo R. Berrini G. Cambiaso R. Mazza  La
famiglia del tossicodipendente
1° ed. Raffaello Cortina Editore Milano,1996